lunedì 25 gennaio 2010

La strada militare georgiana

Partiamo da Tiblisi sull’inossidabile Lada Niva di un signore che sembra la copia schiarita di Stalin. Quando fa il pieno temiamo che abbia inserito la pompa nel finestrino piuttosto che nel serbatoio tanto e’ il puzzo di benzina che si diffonde nell’abitacolo.
Prima tappa Mtskheta, antica capitale e centro spirituale-cristiano del Regno di Georgia, per visitare la chiesa di Sveti-Tskhaveli, che e’ stata la piu’ grande del paese fino alla costruzione l’anno scorso della nuova cattedrale di Tiblisi, misteriosamente finanziata da un benefattore anonimo.

Costruita in pietra intorno al 1000, circondata da delle solide mura e’ decorate con affreschi pieni di colori. Al suo interno ospita caoticamente una copia della cappella del Santo Sepolcro di Gerusalemme e due piccolo strutture isolate che potrei definire dei gazzebi-cappella, anche loro interamente affrescati. La rigidita’ del dogma e la sacralita’ del posto risultano ampiamente ammorbidite dal disordine umano. Il tutto e’ estremamente curato, senza neanche un cacata di piccione (cosa rara da queste parti).

Ananauri

Riprendiamo il cammino cominciando a salire fino a quando vediamo e superiamo la diga del lago artificiale di Zhinveli. La fortezza di Ananauri e’ minuscola, le mura dotate di 4 imponenti torri sono poco piu’ larghe della cappella al centro del fortino. Mi e’ difficile immaginare le numerose guerre e rivolte di contadini che si sono svolte nei secoli dentro e fuori questo castello-Lego trecentesco pacificamente appollaiato sulla sponda di un lago in secca circondato da una vallata tappezzata di boschi.

Kazbegi

Per arrivare alla meravigliosa gola di Tursa, dove riposa Kazbegi, bisogna superare il passo di Jvari, a piu’ di 2000 metri. Davanti ai nostril occhi terrorizzati un muro di due metri din eve fad a guard-rail sui due lati della strada e l’asfalto o non si vede o e’ dipinto di bianco. Il nostro autista sbuffa, sbanda, si asciuga la fronte e la Lada Niva non ci abbandona. Scopriremo il giorno dopo che quell ache ci e’ sembrata un’impresa unica viene compiuta 6 volte al giorno da dei marshutka (pulmini-autobus locali) stracarichi con le ruote lisce come il ghiaccio. Superato il passo ci ritroviamo in una valle popolata piu’ da mucche che da uomini.

Arrivo a Kazbegi: con gli scarponi che affondano nella merda di mucca, attorniati da case sbilenche e contadini con lucide scarpe di cuoio rivolgiamo lo sguardo verso l’alto alla chiesa che sovrasta il paese 400 metri piu’ su, e dietro di lei al monte Kazbekh (5047 m).Quest’ultimo e’ la cima rocciosa su cui Prometeo venne incatenato e condannato ad un’orribile tortura per migliaia di anni, reo di aver sottratto agli il potere del fuoco per donarlo agli uomini a loro subordinate. Venne incatenato su questa vetta che adesso che deriva il suo nome da un esattore delle imposte del XIX secolo. Costui, spronato ad allontanare i soldati russi d’istanza nella regione dai popoli di queste montagne che si stavano ribellando all’impero, scelse invece di avvertire Mosca meritandosi una immediate promozione a generale dell’esercito zarista.
Cosi’ il luogo in cui un dio sconto’ la pena di aver tradito I suoi simili a vantaggio dei piu’ deboli porta ora il nome di un uomo che non esito’ a vendere il suo stesso popolo ai propri superiori. Come a sottolineare che per quanto permalosi e vendicativi possano essere gli dei saranno sempre al di sopra delle bassezze e delle perfidie dei potenti di questo nostro mondo.

In quaranta minuti, affondando ripetutamente le gambe nell’abbondante neve che ricopre il sentiero, giungiamo alla chiesa, che pero’ e’ chiusa. Mentre mangiamo un panino si apre una botola da cui esce un Monaco con i piedi protetti da pesanti calzettoni di lana ed adagiati in commode pantofole. Senza dubbio ci vede ma fa finta di niente e sgattaiola fino al campanile e dandoci le spalle comincia a tirare la corda della campana facendala risuonare in tutta la valle. Aspetto rispettosamente che adempia al suo sacro compito per chiedergli le chiavi della chiesa, ma non faccio in tempo a sentire l’ultimo rintocco della campana che la botola si richiude dietro di lui: peccato.
Durante la discesa Erika, con le scarpe ormai fradicie, un po’ stanca e un po’ infreddolita, con le labbra gonfie e mal di testa per la puzza di kerosene emanate dalla stufa del rifugio e resa particolarmente suscettibile dall’inizio del ciclo rimane un po’ indietro. All’improvviso imprecazioni di tutti i tipi mi piovono sulle spalle; mi volto e la vedo dal basso in cima ad una roccia con i capelli mossi dal vento, un ditto puntato verso il cielo ed un sasso nell’altra mano. Un Monaco di passaggio si ferma per assistere alla scena da lontano; ci fissa sbalordito forse soppesando i pro e i contro di un suo intervento mitigatore forse memore dei discorsi biblici pronunciati dai profeti dall’alto di una montagna. Due minuti dopo, complici e solidali, rideremo insieme immaginando i pensieri del monaco-spettatore.

Sciando sul Caucaso

Di ritorno a Tiblisi mi fermo a sciare un giorno a Gudauri, stazione sciistica che avevamo notato all’andata. Ci ospita la simpatico signora Svetana, che vive in una piccolo casa con il figlio, sua moglie e i 2 bambini. Ci lasciano una camera mentre loro dormiranno tutti insieme nel salotto vicino alla stufa. Ci danno da mangiare zuppa e delle ottime frittelle zuccherate (questo a cena; la mattina dopo ci serviranno formaggio e salsa di pomodoro). Dopo di noi viene a mangiare il figlio, da solo, mentre la moglie sta in piedi a digiuno tenendo tra le braccia il figlio piu’ piccolo.
Ci sono solo 4 seggiovie un po’ lente ma eccezion fatta per i pochi turisti ucraini e per i venditori di birra vodka e cappellini le cui innumerevoli bancarelle sono disseminate qua e la’ sulle piste, scio da solo. Superando i tremila metri non vedo altro che monti e valli coperti da un’immacolata coltre din eve: un ormai incredibile ed inusitato spetacolo per noi sciatori europei

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