A Yerevan si costruisce, le gru sono dappertutto. Hanno appena ultimato il viale che collega il teatro dell'opera alla piazza principale. Piena di caffe' e ristorantini, con due fabbriche del famoso cognac armeno, e' piu' ricca e ordinata di Tbilisi, ma anche assai piu' brutta. La statua di madre armenia che troneggia sulla citta' (con la quale i quadri locali del Partito rimpiazzarono di soppiatto la statua di Stalin in una fredda notte del '67) e' scoordinata e innaturale.
Abbiamo preso una camera da Anahit, stravagante vecchietta vestita sempre di rosso, figlia di un pittore locale i cui quadri ricoprono tutte le pareti della stanza, con l'unico vantaggio estetico di nascondere l'orrenda carta da parati. Lei sembra sempre con la testa tra le nuvole, entra in camera senza bussare ad ogni ora del giorno e della notte stupendosi ogni volta che la rimproveriamo.
La posizione e' ottima, dalle finestre si vede il tetro dell'opera. Lo stato d'emergenza dichiarato dal governo (coprifuoco alle 9 di sera) finisce dopodomani, ma la citta' sembra tranquilla, i caffe' sono pieni e la gente passeggia spensieratamente.
Ci facciamo una doccia e scendiamo, sono le sei e vorremmo comprare i biglietti a 2 $ per la bisbetica domata, in programma stasera. Apriamo il portone e....sorpresa! davanti all'ingresso del teatro, che un edificio circolare al centro della piazza, una decina di camion dell'esercito ne impediscono l'accesso, e un cordone di soldati lo circonda per intero. La stessa scena si repetera' per 3 giorni.
E' il 21 marzo, data in cui si dovrebbe svolgere la manifestazione di protesta per i brogli elettorali indetta dal capo dell'opposizione Levon-Tar-Petrosian, venti giorni dopo la morte di 3 manifestanti per mano della polizia. La piazza e' interamente occupata da centinaia di poliziotti e soldati in tenuta anti-sommossa. Intorno meno di un migliaio di persone parlno sommessamente tra loro, in gruppi di tre dato che gli assembramenti sono proibiti fino a domani.
Le forze dell'ordine passano il loro tempo seduti nelle comode poltroncine dei lussuosi caffe' all'aperto per poi alzarsi di tanto in tanto per "disperdere" i manifestanti. Tar-Petrosian (22% dei voti) parla alla radio, scrive appelli sui giornali sostenendo che non riconoscere valore ad una protesta pacifica significa spingere il paese alla rivolta armata. Il presidente eletto Sarkisian e' il delfino del presidente uscente, ed e' uno dei tanti politici appartenenti alla "mafia del Karabakh", un gruppo di ex-militari che hanno combattuto la recente guerra in Nagorno-Karabakh e che osteggiano la soluzione diplomatica del conflitto. Forte del risultato ottenuto (52%), non dice niente, non ritenendo neanche necessario ricordare che Petrosian e' stato presidente nei sette anni in cui l'economia e' precipitata, nel '94 ha dichiarato illegale il centenario partito dell'ARF (16% nel '92, il piu' popolare tra gli armeni della diaspora) e nel '96 ha mandato i carri armati contro le manifestazioni di protesta per - ma davvero? - presunti brogli elettorali.
Ci troviamo a cena con dei locali piuttosto benestanti, alcuni di loro sono imprenditori. L'imprenditore pro-Petrosian sostiene che il nuovo presidente e' anti-democratico e che l'Armenia non puo' permettersi di rimanere ancora indietro su questo terreno, non puo' permettersi un'altra dittatura. Gli altri dicono: "ma non ti ricordi quello che ha fatto? dice di essere cambiato, che non commettera' piu' gli stessi errori, ma voi ci credete alle promesse di Berlusconi?".
L'imprenditore, innervosito, tira fuori l'asso nella manica: Petrosian si ritiro' spontaneamente nel '98. Sono tutti d'accordo e si cominciano a raccontare aneddoti personali sulla diffusissima corruzione vigente a tutti i livelli dell'apparato statale.
Dalla gola del Debed fino a qui abbiamo provato a parlare con parecchie persone
della situazione attuale, ma la lora analisi si riduceva sempre alla dichiarazione della loro preferenza per uno dei due principali candidati. Dopodiche' si lanciavano immancabilmente in digressioni storiche passando senza problemi e senza incertezze dalla storia contemporanea a quella antica, dalla Repubbica Caucasica dell'URSS al mitico regno d'armenia, dall'armenia cristiana e non-calcedoniana all'armenia isolata dei giorni nostri.
La loro amarezza non e' certo difficile da capire: sono cristiani in terra di musulmani, il monte Ararat (simbolo nazionale) troneggia su Yerevan ma e' poco oltre il confine turco come anche Ani, l'antica capitale del loro glorioso regno, ormai una citta' fantasma in terra straniera.
Il Confine con la Turchia e' chiuso per dispute diplomatiche sul genocidio armeno, quello con l'Azerbaijan e' chiuso per il conflitto in Nagorno Karabakh, come unici sbocchi restano le strettoie con l'Iran a sud e la Georgia a nord, che pero' e' messo in pericolo dall'alleanza incrociata Georgia-USA, Armenia-Russia. Chiediamo se pensano che la situazione cambiera'. Risposta: "Il nostro problema e' il Cristianesimo; da quando siamo diventati il primo stato cristiano del mondo (312 d.c.) abbiamo sempre fatto scelte tese a differenziarci dai nostri vicini e potenziali alleati". Anche la chiesa armena e' un'entita' a se', non essendo collegata ne alla chiesa ortodossa russa, ne tantomeno a quella romana o a quella protestante.
L'unica certezza e' che non vogliono piu' isolarsi, che in un paese che aha sbagliato tante volte da che parte stare c'e' voglia di fare la scelta giusta, guardare al piu' forte e rimanergli attaccati. Se oltre a questo si aggiunge la palpabile nostalgia per il lavoro, lo stipendio e l'orgolgio che garantiva l'Unione Sovietica la risposta e' una sola. I due contendenti hanno per l'appunto un tratto in comune: il loro proposito di mantenere saldi legami con la grande Russia (in realta' Sarkisian cerca anche di strizzare l'occhio agli americani, che gli hanno anche fornito degli armamenti sottobanco).
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